«L’itinerario dell’uomo a Dio si presenta come il più arduo e il più pressante. Senza il riferimento all’Assoluto infatti tutti i valori restano sospesi e l’uomo è esposto al continuo rischio di essere travolto dalla temporalità e di smarrirsi nei trabocchetti della contingenza. I vari tentativi di evadere il problema di Dio dell’ateismo nelle sue forme poliedriche fino alle contemporanee forme della cosiddetta “teologia della morte di Dio”, mostrano la dialettica mai risolta del dramma sconcertante dell’uomo che quaggiù non può attingere e possedere Dio, mentre avverte sempre in qualche modo di non poter stare senza Dio. Dall’altra parte anche il tentativo, a cominciare da S. Anselmo e proseguito dal pensiero moderno fino ai nostri giorni, di attirare Dio all’interno del conoscere e di risolverlo in funzione della soggettività umana, ha mostrato l’illusione di siffatta pretesa e l’inevitabilità della perdita di Dio. Di qui si vede anche l’inefficacia della “volontà di dialogo” con gli atei che aggira il problema dall’esterno e non investe la responsabilità della persona nella fondazione ultima della verità e nell’impegno decisivo della libertà. Per questo l’impegno teoretico, nella posizione del problema di Dio, è solidale con quello della libertà radicale dell’uomo e deve avere la precedenza su ogni sollecitazione contingente».
Cornelio Fabro.